Testi degli interventi - Il guscio

 La camminata meditativa del 19 ottobre 2020 si è svolta dal Convento di Santa Maria del Cengio all’Eremo e ha avuto come tema conduttore: "Il Guscio".

 Presentazione

Hai mai visto un pulcino uscire dal suo guscio?

Ti sei mai sentito come lui guardando un mondo nuovo e sconosciuto?

Hai provato la sensazione di essere nudo, quando perfino l’aria fa male alla pelle?

Oppure hai percepito l’ebbrezza della nuova libertà alla scoperta di un mondo senza limiti?

Cosa significa e rappresenta per te il  "guscio"?

 

Fra Renzo accoglie i partecipanti (9 persone) e li ringrazia di essere presenti in una serata piuttosto buia e umida. Al centro del chiostro è posto un lume a simboleggiare la luce che ci guida nella notte e che viene portato a turno fino all’eremo.

 Con Annarita e Nadia alla guida ci incamminiamo.

 Le nostre testimonianze:

(i testi vengono raccolti da Fabrizio che riassume quelli non pervenuti)

 

INTRODUZIONE DI ANNARITA

Questa sera ho sperimentato sulla mia pelle cosa vuol dire “guscio” e anche “uscire dal guscio”. Infatti, dopo una giornata impegnativa, avrei tanto voluto trascorrere la serata nel calore luminoso e accogliente della mia casa. Ho fatto fatica ad uscire dal guscio che essa in quel momento rappresentava per me. Ora però sono soddisfatta, felice di essere qui e di aver rotto questo guscio, seppur con fatica. Dobbiamo affrontare un percorso al freddo e al buio, anche questo è uscire dal guscio, allora ascoltiamo le sensazioni e le emozioni di questo cammino.

 

INTERVENTO DI ELISABETTA

Per spiegare cos’è per me il guscio, vi leggo una storia, ambientata in un tempo e in uno spazio fantastici, in cui un personaggio racconta l’avventura del suo Popolo.

– Appartengo al Popolo dell’Aria e vi racconterò una storia  accaduta quand’ero bambino.

La terra in cui viviamo è molto ventosa e un tempo, circa settant’anni fa il vento ci ferì in modo brutale. Così decidemmo che non potevamo più vivere all’aperto, dovevamo difenderci e cominciammo a costruire delle case di vetro che ci riparassero dal vento. Da principio c’era solo una grande casa in cui tutti potevamo riunirci per i momenti della vita comunitaria: i nostri riti e le nostre riunioni quotidiane erano salvi da qualsiasi vento. Pian piano ci abituammo alle comodità di un luogo senza vento e cominciammo a costruire delle case per le singole famiglie. Il tempo trascorso all’interno delle case di vetro però ci faceva disabituare all’aria che per noi divenne sempre più pesante. Vennero costruiti addirittura i collegamenti tra edificio ed edificio. Perdemmo l’abitudine di stare all’aperto. I nostri corpi impallidirono. Le nostre anime avvizzirono intristite, come un frutto che non riesce neppure a marcire, ma perde la vitalità e scurisce tra pieghe appassite. I nostri rapporti si allentarono e, da corpo unico, divenimmo singole cellule.

Fu allora che la luce cambiò. Un mattino, per uno strano effetto del sole sui tetti di vetro, almeno così credevamo, la luce divenne verdognola, livida e inquietante. Il ricordo di quel verde mortale pervadeva, sotto forma di incubi, anche le nostre notti. 

Allora comprendemmo che, continuando così, non saremmo sopravvissuti. Ci radunammo tutti, per capire il fenomeno: le discussioni si protrassero vanamente per giorni: i “penso di sapere” e i “so per certo” si alternavano ad inutili tentativi di sopraffazione, dettati dal puro gusto di avere ragione, finché noi bambini riempimmo lo spazio della casa di vetro con le nostre urla e gli adulti dovettero ascoltarci:

– Fuori, vogliamo andare fuori! – gridammo con quanto fiato avevamo in gola.

– Ma fuori c’è il vento! – fu la risposta: i grandi avevano paura del vento, paura di morire nel vento, paura di vivere nel vento.

Il nostro entusiasmo fu più forte di tutta la loro paura. Sgusciammo dalle loro braccia e aprimmo la porta della casa comune. Il vento ci sorprese leggero, come il soffio di una madre sulle ciglia del figlio, mentre cerca di svegliarlo. Fu il momento più bello della mia vita, non ricordavo più il tocco dell’aria; fummo felici, mentre gli adulti ci guardavano a bocca aperta, accalcandosi alla porta.

– Venite, non si muore, qui è la Vita! – gridammo.

Quando i più coraggiosi allungarono un passo fuori dalla casa di vetro, senza indugio l’aria cominciò a cambiare colore. Questo fu il segno della strada da percorrere.

Imparammo di nuovo a fluire nel vento, accogliendolo anche quando divenne violento e brutale, ormai avevamo capito. E creammo da allora le Case del Vento, così chiamiamo le nostre tende. Questa è la nostra storia.

 

INTERVENTO DI SERENA

Osservo il mio guscio: mi fa sentire protetta, ma mi fa anche sentire sola. Quante volte avrei voluto che qualcuno lo rompesse al mio posto! Ogni volta però che qualcuno si avvicinava io al suo interno tremavo e lo rafforzavo per evitare possibili incrinature. Al tempo stesso mi facevo sempre più sola e triste!

Iniziando a considerare i miei stati d’animo, ad accettare i miei desideri, ad abbracciare le mie lacrime, ho compreso che solo io posso rompere quel guscio.

Oggi sono ancora al suo interno e cerco di tenerlo insieme con lo scotch. Ho ancora paura! Paura di mostrarmi, di sentirmi come il brutto anatroccolo in un mondo di cigni. Ma più cerco di accettarmi e di accettare anche le mie paure e più cresco… e più l’uovo diventa stretto…

Lo sento scricchiolare e lo scotch sta finendo!

Spero un giorno, non troppo lontano, di camminare nel mondo come Calimero con il suo pezzo di guscio in testa come copricapo!

 

INTERVENTO DI TATIANA

Certe volte ti avverto sottile, sembri facile da incrinare, certe volte sei duro e spesso, fatto di molti strati, di colore grigio ti vedo, crei un luogo ovattato, protetto, silenzioso. A volte c’è qualche piccola fessura da cui entra la luce, spesso sei completamente chiuso.

Penso di averti costruito fin da bambina, quando i litigi tra i grandi mi facevano provare la paura dell’abbandono. Penso di averti costruito quando la paura del rifiuto mi ha insegnato a voler essere più brava, meglio di… Ho continuato a costruirlo quando ho pensato che le mie emozioni potevano far soffrire o non essere adatte o quando sono stata tradita nell’amicizia, nell’amore o quando ho avuto solo paura di esserlo. Sì, perché a quel punto ti rendevo così grosso da non correre il rischio di romperti. Sei diventato e diventi a più strati, quando è un no a presentarsi sulla mia strada, un no ad un lavoro, un no detto da altri, invece di un . Ma è faticoso restare lì dentro, rendi il luogo sicuro sì, ma finto.

Romperti, rompere il guscio. Essere semplicemente se stessi, né di più, né di meno, senza dover controllare di essere amati.

Rompere il guscio, poter respirare il profumo dell’altro nell’incontro, sentire la sua gioia come mia, il suo dolore come mio, vedere l’altro e tornare dall’incontro cambiata.

Rompere il guscio, avere il coraggio di provare a restare senza altra protezione che uno sguardo d’amore e di fiducia di un infinito più grande che guarda la me piccola e ne abbraccia le paure e le ferite!

 

INTERVENTO DI NADIA

Pensando alla parola “guscio” la mia mente è andata subito all’immagine della noce con il suo bel guscio duro e legnoso fuori e con un bel seme dentro. Le noci sono pronte quando il mallo, il rivestimento esterno, presenta una serie di fenditure ed inizia a staccarsi dal guscio. E’ la natura che fa questa operazione ad avvenuta maturazione; quello che noi mangiamo sono i semi diventati maturi.

Così è anche nella nostra vita.

C’è un tempo in cui abbiamo la necessità di essere avvolti nel guscio per proteggere ciò che è dentro di noi e permettere che cresca fino a diventare frutto maturo. Spesso c’è il desiderio di stare sempre chiusi, di stare dentro di noi, ritirati e lasciare tutto fuori. “Cik e ciak, casa mia!”

Così però non esce nulla e non entra neanche nulla e l’immagine è quella di un frutto che appassisce e si consuma da solo.

C’è un tempo della vita di un uomo, come accade in natura, in cui il guscio si deve rompere. A volte il guscio viene rotto dalle botte della vita, con dolore, e tutto va in mille pezzi; non sei più né guscio, né seme, ma tanti pezzi sparsi come la noce frantumata dallo schiaccianoci.

Sei lì in attesa che una mano raccolga quello che c’è di buono!

 

Riflessioni spontanee:

 

ANNARITA

Ho ascoltato le mie sensazioni ed emozioni salendo e mi sono resa conto che più volte mi è capitato di perdere l’equilibrio. A volte il buio può fare questo effetto, ma la presenza di tutti mi ha permesso di non sentirlo più e di procedere con sicurezza.

 

FRANCO

Per me è importante uscire dal guscio al momento giusto; se lo facciamo troppo presto, rischiamo di non essere pronti, se troppo tardi, rischiamo di essere già morti.

Il momento giusto lo sentono gli animali grazie al bio-ritmo della natura, lo sentiamo noi umani grazie alla nostra dimensione spirituale.

Rompere il guscio rappresenta sempre un passaggio da un livello ad un altro superiore, facendoci crescere.

  

Concludiamo la serata davanti all’eremo cantando il MAGNIFICAT.

Nessun commento:

Posta un commento