Intervento di Diego Trevisan

Domenica IV di quaresima – anno C
Riflessione – testimonianza di Diego Trevisan alla messa delle 10.30 a santa Maria [domenica 6 marzo 2016].

Leggendo questa parabola [Lc 15,1-3.11-32] la mia attenzione è stata prima di tutto attratta dalla figura del figlio prodigo, rispetto a quella del padre misericordioso.
Mi pare infatti, naturale oggi, vedere Dio come un padre misericordioso, più che come un “padre padrone”. Certo, quando Gesù ha raccontato questa parabola il messaggio era assolutamente rivoluzionario, ma oggi forse, almeno a parole, non è più così.
Poi però mi sono chiesto se questo non fosse un mio riflesso condizionato per essere immerso in un mondo in cui il bene non fa più notizia. Il bene non finisce mai sulle prime pagine dei giornali. E’ lo scandalo e i personaggi scandalosi che fanno notizia.
E dunque, anche se il figlio prodigo subito mi ha affascinato, tanto da seguirlo ricavandone delle riflessioni che mi hanno toccato il cuore - alcune delle quali condividerò oggi - mi sono imposto di partire dal padre misericordioso, dal bene, al quale si fa così fatica prestare attenzione.
E allora voglio iniziare da qui, da questo padre, che non ha pronunciato, in tutta la parabola, l’ombra di un giudizio su questo figlio scapestrato. Che non ha nemmeno pronunciato la parola “perdono” – sarebbe stato logico dirlo in queste circostanze - come se questo figlio non avesse causato offesa.
Meraviglioso questo padre, che sappiamo rappresentare la figura del Dio Misericordioso, che non ci abbandona e non ci giudica nonostante i nostri errori ma è sempre pronto ad accoglierci.
Ma per me è meraviglioso anche perché questo Dio non si presenta solo con il volto del padre.
Questa parabola ha infatti, a mio avviso, la ricchezza di presentarci un Dio che è padre ed è madre.
Questo Dio è padre quando il figlio gli chiede la sua parte per andarsene. È padre perché qui rappresenta l’autorità, ma non nel senso comune che oggi abbiamo di questa parola, bensì nel suo senso più profondo, di una parola che deriva dal latino “augeo”, che significa accrescere.
E infatti questo padre lascia piena libertà a questo figlio giovane ma oramai adulto, di fare esperienza della vita, di crescere. Don Giussani diceva, “Libertà è la possibilità di decidere, di vedere, di riconoscere, di decidere del proprio destino, del destino dell’irripetibile persona umana” .
Una madre avrebbe forse fatto di tutto per trattenerlo, per proteggerlo questo figlio, per aiutarlo nelle sue scelte.  Il padre, invece, divide le sue sostanze e lascia libertà senza alcun giudizio a questo figlio, libertà di crescere.
Ma questo padre è anche profondamente madre quando il figlio torna. 
Potremmo dire che il figlio, alla fine di questo viaggio nella dissolutezza, vive un doloroso travaglio, che gli ha permesso di nascere a nuova vita. “E’ tornato in vita” dice la parabola. Il figlio è rinato in una nuova consapevolezza.
E come un nuovo nato questo figlio torna come fosse nudo dal padre, perché non ha più nulla.
E questo padre amorevole, diventa madre! Guardiamo come lo accoglie:
È  madre quando lo vede da lontano… e lo vede subito perché lo attendeva, come una gestante attende un figlio,
Questo padre è in verità madre che abbraccia, bacia, scalda il figlio “tornato nudo”, come una madre abbraccia, bacia e scalda il corpo nudo di un bimbo appena nato, appoggiato sul suo seno.
È madre che lo veste, questo figlio nudo, con il vestito più bello. È madre che lo nutre. È madre ricolma di gioia che fa festa con la sua famiglia.
Noi dunque riempiamo il nostro cuore di gioia nel riconoscere questo Dio come Padre Misericordioso e abbiamo ragione a farlo.
Ma credo sia bello anche guardare questo nostro Dio con gli occhi del femminile e sentire che lui si prende cura di questo figlio, si prende cura di noi tutti,  non solo come vero Padre ma anche come vera Madre.
Ma ora guardiamo anche questo figlio scapestrato: come vi dicevo all’inizio, questa figura ha subito attirato la mia attenzione.
Allora l’ho seguito fin da subito, ho chiesto a questo figlio di raccontarmi qualcosa di diverso in questa parabola. Di mostrarmi un’altra strada.
Le parabole sono così, si mostrano con semplicità, sono fatte per i cuori semplici, Lo stesso Gesù ci dice, nel vangelo di Luca, “Rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Ma le parabole accolgono anche chi sente il bisogno di qualcosa di più, aprendosi a cuori in ricerca.
Dunque nel mio cercare ho seguito il figlio  in questa discesa, l’ho visto andare in un paese lontano, sperperare  il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
Un figlio che dà scandalo
E mi è parso di vedere, negli occhi di questo figlio che dà scandalo, il riflesso degli occhi di Gesù.
D’altronde per i farisei, per i benpensanti, Gesù era certamente uno che dava scandalo: “Ma chi è questo Gesù che  annuncia la buona novella ai poveri, agli ultimi…”. Al punto che Gesù stesso manderà a dire a Giovanni: “Beato colui che non si scandalizza di me”.
Dicono di lui, e lo dice Gesù stesso in Matteo: “E’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve e dicono: Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Anche Gesù dunque da scandalo
E dà scandalo perché anche Gesù spende la sua più grande ricchezza, che è l’amore, la sua sostanza divina, con gli ultimi e i peccatori.

Gesù, non conserva il suo amore per darlo a pochi eletti, considerati “giusti”. No, Gesù distribuisce il suo patrimonio d’amore come quel seminatore incauto di un’altra parabola, che butta il seme senza prestare attenzione: cade sulla roccia, sulla strada, sulla terra, tra le spine...
Ma chi se ne importa dove và! Gesù lo rende disponibile a tutti questo Amore misericordioso, cioè “Amore che trabocca”. Gesù ne ha così tanto di Amore che  trabocca… e non sta lì a raccoglierlo a conservarlo, lo dà a chi c’è, senza chiedere la fedina penale.
Lui spende completamente questo suo amore e ancor più lo spende con gli ultimi, i poveri e i peccatori.
E poi… questo amore gli torna alla fine? No, ad un certo punto anche per lui, come per il figlio prodigo, arriva la carestia.
Prima lo seguivano le folle, mentre predicava, al punto che doveva cercare pace ritirandosi nelle montagna, ma nel momento in cui questo Gesù è cercato per essere imprigionato perché ha rotto le regole della religione imperante, Gesù rimane solo.
Persino i suoi discepoli, per paura, lo abbandonano.
Dunque è vero che Gesù con la parabola del figlio prodigo ci pone prima di tutto in primo piano, questa figura straordinaria del padre misericordioso.
Ma se tornando a casa il figlio prodigo ha ritrovato l’amore del padre, posso anche dire che nel corso della sua storia scandalosa, nella sua discesa più buia, nella sua solitudine finale, Il figlio prodigo non era comunque solo. Aveva come compagno un Dio fatto uomo, che ha scelto di condividere la sua storia con chi dava scandalo, ha scelto di spendere il suo amore con i peccatori, ha vissuto la solitudine e l’abbandono per le sue parole che turbavano i benpensanti del tempo.
E lo ha fatto perché tutti i figli prodighi di questo mondo, tutti noi nelle nostre discese, possiamo sentire di avere qualcosa in comune con lui, qualcosa in comune con Dio. Il figlio prodigo ci mostra la scintilla divina che è in tutti gli uomini, anche quelli che ci scandalizzano, che ci impauriscono, per i quali proviamo disprezzo.

Ed è un grande insegnamento per i tempi di paura e di sospetto che viviamo oggi. Un insegnamento che trovo sintetizzato nelle profetiche parole di frà Giovanni Vannucci : “Devo avere sempre la consapevolezza che ogni creatura viene da Dio, anche se con la sua realtà sconvolge tutti i miei piani teologici, metafisici, filosofici, e morali. Io devo avere molta attenzione, perché può darsi che questa creatura mi dica qualcosa di nuovo che viene da Dio stesso”.

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