Avevo scelto di non
scrivere l’omelia. Nel mio caso, mi aiuta a essere più concreta, più attenta a
chi ascolta. E soprattutto a dimenticare alcune delle troppe cose che voglio
dire su un testo evangelico. Ora sono passati quindici giorni. Sono convinta
che il vangelo abbia volutamente lo stile di una buona notizia orale, di una
parola da bocca a orecchio e plurale - quattro vangeli - sempre già
interpretata e parziale. Perciò provo a trasmettervi ora per iscritto solo
l’essenziale di quanto condiviso domenica 4 dicembre. Quello che mi è rimasto,
senza pretese esaustive. Solo briciole, nello stile della cananea (Mt 16).
Quello che resta vivo per la mia vita. Il resto è dimenticabile…
Il vangelo di oggi parla di cambiamento. Giovanni, “il
Battista”, vuol dire Giovanni il demolitore e il ricominciatore. Parla “nel
deserto” che è un luogo di cammino e di evoluzione, per cambiare, tra l’Egitto
e la promessa. “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino”, lo tradurrei:
cambiate punto di vista, cioè pensate Dio qui vicino. Se occorre cambiare è
perché Dio lo pensiamo sempre lontano. “Vicino” è un aggettivo terribile dei
vangeli, al cui confronto “nemico” non è nulla! Matteo cita poi Isaia e descrive
Giovanni con il look di un profeta. Perché i profeti sono coloro che vedono e
accompagnano i cambiamenti: come Isaia nella prima lettura annuncia un nuovo “germoglio”
che spunta dal vecchio “tronco” d’Israele (Is 11,1). Giovanni vive il
cambiamento in modo molto concreto: nel cibo, nel vestito. Il suo è un… nuovo
stile di vita, come dire che fonda un GAS, si nutre a km 0, frequenta il mercato
equo e solidale…
La gente comune della Giudea - imprenditori, commercianti -
va da lui “a farsi battezzare confessando i suoi peccati”. Significa
riconoscere: così non va, ma per cambiare ho bisogno di aiuto, da solo non ce
la faccio. Chiede aiuto per cambiare prospettiva e stile di vita. Anche
“farisei e sadducei” - gente religiosa, impegnata, membri dei consigli
pastorali o di movimenti spirituali, come noi… - vanno da lui a farsi
battezzare. Li tratta da “vipere” - animali dalla lingua doppia - perché
andando da lui sembrano voler cambiare, ma in pratica non sono disposti ad
ammettere che qualcosa non va, che hanno bisogno di altri più piccoli per cambiare.
Allora Giovanni annuncia la decostruzione necessaria per poter costruire il
nuovo (scure, setaccio, acqua, fuoco). Pulizia dal male o piuttosto dal bene? Quando
c’identifichiamo troppo con il bene, lo possediamo, ne siamo troppo sicuri, allora
non cerchiamo più, non cambiamo più. “Liberaci dal male” diciamo nel Padre nostro,
ma potremmo dire anche “liberaci dal bene”! Matteo lo suggerisce anche con “non
sappia la tua sinistra cosa fa - di bene - la tua destra” (6,3). Convertirci a
cosa, a chi? A colui che “viene dietro” - non dopo - Giovanni nel senso che è
suo discepolo. Ma a cui il Battista non può togliere i sandali è un’allusione
al levirato: vuol dire che Israele era vedova del Dio dell’Alleanza, ma Gesù è
il parente più prossimo, cioè lo sposo che la riscatterà. Convertirsi, quindi
significa cambiare per la relazione con lui.
Allora cos’è il battesimo? Non un rito formale, ma un gesto
che significa e sancisce il cambiamento. Il nome viene dalla stessa radice di basso,
a dire che si cambia dal basso. È un’immersione in cui qualcosa resta sul fondo.
E va dal risciacquo al naufragio. Al tempo di Gesù lo si proponeva ai pagani
che volevano passare all’ebraismo e mettersi alla scuola della torà.
Soprattutto le donne proselite lo praticavano, non potendo vivere la
circoncisione come iniziazione. Farsi battezzare vuol dire perciò dichiarare di
non conoscere la torà, di aver bisogno di andare a catechismo, di ricominciare,
di essere formati… Anche Gesù lo fa, si mette in fila fra chi ha bisogno di
imparare Dio dagli altri, in fila tra molte donne, in un movimento dal basso.
Non è un rito. La vita ci battezza, quando demolisce le
nostre certezze e rifà di noi dei principianti. Vorrei condividere con voi tre
storie di battesimi esistenziali.
La prima è la storia di Margherita, vent’anni. Era una
ragazza eccellente, bravissima a scuola e in tutto, di cui la madre diceva: con
lei non ho mai avuto problemi. L’anoressia l’ha fermata e ha detto altro di
lei: che è anche piccola, fragile, che ha bisogno degli altri per cambiare, per
crescere. Malattia o battesimo?
Poi c’è quando capita di leggere su un giornale che un prete
o un vescovo ha una relazione con un uomo o con una donna. In genere si parla
di scandalo. Ma potrebbe anche essere un battesimo, un evento che lo mette in
fila con tutti noi uomini e donne, fragili, umani, bisognosi. Da lì, dal basso,
si può allora ricominciare insieme a farci evangelizzare, a scoprire gli uni
dagli altri un volto nuovo di Dio. Scandalo o battesimo?
Infine vorrei parlarvi del battesimo di Yassef. In un
articolo di repubblica dell’estate 2009, ho letto del viaggio in gommone di
questo ragazzo eritreo. Si era portato una bibbia. La leggeva ai compagni ogni
tanto. Molti morivano di stenti. Un giorno vedono una nave in lontananza.
Yassief e un altro ragazzo sono i soli a saper nuotare. Decidono di tuffarsi
per andare a chiedere aiuto. Yassief consegna la sua bibbia a una donna e si
butta. Ma il mare li porta via e non tornano più. Yassief ha dato la vita per i
suoi compagni di viaggio. Anche Gesù ha chiamato la sua passione un battesimo. Naufragio
o battesimo?
E noi, quale battesimo riconosciamo nelle nostre vite? Cosa
ci sta accadendo che ci demolisce e ci ricostruisce, che ci cambia?
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