La camminata meditativa, la sera
del 16 GIUGNO 2014 dal Chiostro del Convento di santa Maria del Cengio
all’Eremo di santa Maria, ha avuto come tema conduttore: “siamo tutti fratelli sotto lo stesso cielo”.
Lungo il percorso, ritmato dal silenzio della natura, dai passi silenti dei
partecipanti, dal canto melodioso, sono state offerte alcune
riflessioni/testimonianze, che ora vengono consegnate come dono a quanti sono
interessati.
PRESENTAZIONE
Nicoletta accoglie nel Chiostro i partecipanti spiegando che il tema della
serata "Diversità e uguaglianza si incontrano nel nostro essere fratelli
sotto lo stesso cielo” ci aiuterà a capire cosa vuol dire fratellanza o
sorellanza. Come conciliare unità e diversità? E’ possibile che membra dello
stesso corpo possano mettersi in gioco nelle diversità?
SILVIA canta: Fratello Sole e Sorella Luna
Dolce sentire
come nel mio cuore,
ora umilmente,
sta nascendo amore.
Dolce capire
che non son piu' solo
ma che son parte
di una immensa vita,
che generosa
risplende intorno a
me:
dono di Lui
del suo immenso
amore.
Ci ha dato il cielo
e le chiare stelle
fratello sole
e sorella luna;
la madre terra
con frutti, prati e
fiori
il fuoco, il vento,
l'aria e l'acqua pura
fonte di vita,
per le sue creature
dono di Lui
del suo immenso amore
dono di Lui
del suo immenso
amore.
SONIA LEGGE ED ILLUSTRA:
Antonino
è un bambino
che
trascina dietro di sé
un
pentolino rosso.
Se
lo ritrova sempre lì,
legato
al polso, e
non
sa cosa farci.
Ingombrante com’è, finisce spesso inciampare o trovarsi in
difficoltà. Per colpa di questo, spesso non riesce a giocare con gli altri
bambini: allora si arrabbia, piange e dice le parolacce. Inizia a pensare che
l’unica soluzione sia nascondersi, proprio sotto quel pentolino di cui non
riesce a liberarsi.
E’ in quel momento che fa capolino nella sua vita Margherita, una
signora sensibile e simpatica. Fa subito vedere ad Antonino il suo pentolino: è
più piccolo e verde. Antonino non può credere ai suoi occhi! In più, Margherita
conosce un sacco di trucchi per far in modo che il pentolino non sia così
ingombrante…
Una storia di dolce semplicità che insegna a conoscersi e capire come
affrontare le difficoltà che la vita può riservare. La meraviglia della
resilienza, la capacità straordinaria che ha l’essere umano di superare le
difficoltà e risanare i traumi subiti: questo è il tema straordinariamente
sviluppato da Isabelle Carrier, pubblicato nel 2009 in Francia e ad oggi
tradotto in tutto il mondo.
Kite Edizioni ha scelto di pubblicarlo in Italia assieme al Quaderno
Pedagogico “Educazione, Pentolini e Resilienza”, ad opera di Marco Ius e Paola
Milani e rivolto a genitori, insegnati ed educatori. Un percorso di
approfondimento per ripensare ad un modello di co-educazione che inserisca il
paradigma della resilienza e per offrire ad ogni bambino l’incontro con una
“signora Margherita” che li sappia aiutare.
Il pentolino come metafora della diversità, di ciò che non si riesce a
comprendere e perciò motivo di esclusione da parte degli altri. Può essere un
trauma, una disabilità o un bagaglio caratteriale che incide nel rapporto con
gli altri o semplicemente un vortice di emozioni che rendono la comunicazione
più difficile; in ogni caso la signora Margherita ci insegna a dar voce alle
difficoltà rimbalzando sulle proprie risorse, attribuendo dignità e valore al
pentolino che ogni bambino porta con sé.
INTERVENTO DI BERTILLA
Cosa vuol dire essere fratellanza o sorellanza?
Vuol dire essere misericordiosi, la stessa misericordia infinita che
Dio ha per noi.
Lui ci ha insegnato, nella persona di Suo Figlio Gesù, che Lui è un Dio
che non giudica, è misericordioso.
Riuscire a superare il proprio "io", la concentrazione su se
stessi per lasciarsi attrarre dall'amore che c'è in ciascuna persona che
incontriamo.
Non è facile, il cammino è lungo e richiede umiltà, sacrificio e
perdono; ma è questo che la nostra anima ha scelto di fare sulla terra: diventare
una sola entità come in cielo così in terra."
INTERVENTO DI ELISABETTA
Per riflettere sul tema della serata vi propongo la lettura di un passo
da Palomar di Italo Calvino:
“Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva
sabbiosa.
Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli
sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene
quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. (…)
Non sono “le onde” che lui intende guardare, ma un’onda singola e
basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto
un oggetto limitato e preciso.
(…)
Il signor Palomar vede spuntare un'onda in lontananza, crescere,
avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su se stessa, rompersi,
svanire, rifluire. A questo punto potrebbe convincersi d'aver portato a termine
l'operazione che s'era proposto e andarsene. Però isolare un'onda separandola
dall'onda che immediatamente la segue e pare la sospinga e talora la raggiunge
e travolge, è molto difficile; così come separarla dall'onda che la precede e
che sembra trascinarsela dietro verso la riva, salvo poi magari voltarglisi
contro come per fermarla. Se poi si considera ogni ondata nel senso
dell'ampiezza, parallelamente alla costa, è difficile stabilire fin dove il
fronte che avanza s'estende continuo e dove si separa e segmenta in onde a sé
stanti, distinte per velocità, forma, forza, direzione. Insomma, non si può
osservare un'onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a
formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. Questi aspetti
variano continuamente, per cui un’onda è sempre diversa da un’altra onda.”
Ho scelto di leggere questo testo perché mi sembra rappresenti con
un’immagine efficace quello che siamo: singole onde, ma mai separate dall’onda
che ci precede e da quella che ci segue.
Nell’ostinazione di Palomar ad isolare una singola onda leggo il
bisogno che ciascuno di noi ha di essere visto come essere unico, irripetibile,
con le sue peculiarità e la sua individualità.
Mi pare però che soprattutto nel periodo in cui stiamo vivendo si
faccia sentire fortemente l’esigenza di essere onda nel mare, cioè individuo
parte di una realtà più ampia in cui si è fratelli, sorelle, a volte ci
sospingiamo, ci sorreggiamo, altre ci travolgiamo e in questo modo cambiamo.
Per me l’esperienza più forte dell’essere onda assieme ad altre onde si
è concretizzata in questi anni in una concreta sorellanza con le donne del
nostro gruppo l’Isola che c’è.
Essere sorelle sotto lo stesso cielo è
-fare assieme dei lavori attraverso i quali si impara come ognuna ha un
diverso modo di riordinare, da rispettare;
-pregare assieme per ritrovare dopo le fatiche quotidiane il respiro
dello spirito;
-sostenerci nelle difficoltà e gioire insieme della felicità di ognuna;
-comunicare senza le parole, solo con uno sguardo e un abbraccio;
-litigare sapendo che l’essere sorelle è più forte della frattura e
l’amicizia non finisce, ma si rinnova;
-sapere che il legame che ci unisce ci fa migliori e ci aiuta a trovare
il nostro modo per star bene nella vita.
A questo proposito vorrei leggere un altro spunto dal testo di Calvino
a cui aggiungo il mio augurio.
“In viaggio in un paese dell'Oriente, il signor Palomar ha comprato in
un bazar una paio di pantofole. Tornato a casa, prova a calzarle: s'accorge che
una pantofola è più larga dell'altra e gli cade dal piede. Ricorda il vecchio
venditore seduto sui calcagni di una nicchia del bazar davanti a un mucchio di
pantofole di tutte le dimensioni, alla rinfusa; lo vede mentre fruga nel
mucchio per trovare una pantofola adatta al suo piede e gliela fa provare, poi
si rimette a frugare e gli consegna la presunta compagna, che lui accetta senza
provarla.
"Forse adesso", pensa il signor Palomar, "un altro uomo
sta camminando per quel paese con due pantofole spaiate". E vede una
smilza ombra percorrere il deserto zoppicando, con una calzatura che gli
sguscia dal piede a ogni passo, oppure troppo stretta, che gli imprigiona il
piede contorto. "Forse anche lui in questo momento pensa a me, spera di
incontrarmi per fare il cambio. Il rapporto che ci lega è più concreto e chiaro
di gran parte delle relazioni che si stabiliscono tra esseri umani. Eppure non
ci incontreremo mai”.
Io invece penso che sia il tempo di incontrarci e anche di scambiarci
le pantofole spaiate, per camminare bene nella vita, ognuno con i suoi passi,
diversi ma fratelli e sorelle nel cammino.
INTERVENTO DI PAOLA
Riflessione del vangelo MT
5,20-26
In questo brano del Vangelo Gesù ci invita a superare il senso di
giustizia degli scribi e i farisei se vogliamo entrare nel regno dei cieli.
Sono andata a cercare il significato di giustizia per la Bibbia e ho trovato
che:
• È parte integrante
della solidarietà ed è inseparabile da essa,
• Significa: dare a
ognuno il suo,
• Designa il giusto
rapporto e la benevolenza tra le persone,
• Indica la fedeltà a
Dio che si impegna a liberare il suo popolo e a vivere in armonia con i
fratelli.
-Gesù ritiene l'amore fraterno un'esigenza che fa parte integrante
dell'Amore a Dio, tanto che in questo passo del Vangelo egli sembra metterlo al
di sopra dell'offerta stessa fatta a Dio. L'offerta più vera è l'amore
fraterno: se esso manca, tutto il resto non serve. Il vero culto a Dio non
consiste in una serie di pratiche esteriori, di purificazioni, o di chissà
quali penitenze, ma sta nell'impegno serio e concreto della riconciliazione con
i fratelli e le sorelle.
-Ma quanta fatica a riconciliarsi! Se riflettiamo sulla relazione che
abbiamo con gli altri ci accorgiamo che quanto ci dice Gesù oggi in questo
Vangelo è proprio vero. Cosa possiamo offrire a Dio nel presentarci all’altare,
quando diciamo “ si, Signore siamo parte di questo immenso amore che tu sei” ma
sentiamo che questo amore è offuscato da contrasti, rabbie, maldicenze? E’ come
se tutto questo ci impedisse di godere del suo amore in quel momento, e ci
ostacolasse a sentire che siamo parte di qualcosa di grande.
-“Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino
con lui. “ Gesù ci invita a camminare con il fratello che in un primo momento
sentiamo come avversario, ci invita a dialogare con lui, a contrattare perché
non ci consegni al giudice. Se restiamo nei conflitti, nelle cose non risolte,
nelle incomprensioni, ci imprigioniamo e restiamo in quella prigione, come dice
il Vangelo, “finchè non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo.”
-Tuttavia la relazione con l’altro non è semplice, è complessa, e le
incomprensioni nascono per schemi fissi che tutti noi abbiamo fin dall’infanzia,
nascono dalla difficoltà di riconoscere ed esprimere i propri bisogni, ad
ammettere i propri limiti e necessità, e per altri motivi ancora. Ma camminando
sulla strada della nostra vita, abbiamo la possibilità di dialogare con il fratello che ci sta accanto,
con la moglie, il marito, i figli gli amici ecc, e così nel dialogo ci mettiamo
d’accordo, cioè ci accordiamo come le corde di una chitarra, e come una
chitarra accordata possiamo esprimere armonia.
-Nelle esperienze di gruppo dove c’è uno spazio di narrazione di sé,
del proprio vissuto più profondo si può verificare questa dinamica. Da una
superficialità che all’inizio divide che mette in evidenza le diversità, man mano che le persone si raccontano c’è una
maggior comprensione dell’altro, dei come e dei perché e a sentire che il tuo
dolore è anche il mio, che ciò che tu cerchi lo cerco anch’io, ciò che ti fa
gioire, fa gioire anche me, e in questo modo
ci si accorda ancora una volta.
Così se andiamo ancora più in profondità nelle dinamiche relazionali
possiamo capire che la relazione con l’altro ci svela qualcosa di noi, l’altro
ci mostra parti di noi che non riusciamo a vedere o non accettiamo, ci fa da
specchio. Quindi l’avversario è ciò che abbiamo dentro, che ci fa andare contro verso, in un'altra
direzione appunto avversa a quella che è consona a noi, cioè la
benevolenza e il giusto rapporto tra le
persone. Anche il giudizio accollato agli altri, dire stupido o pazzo al fratello, è
condannato perché ti ferma in questa ricerca di comprensione di ciò che l’altro
è e di ciò che sei tu: blocca la ricerca di armonia.
Allora se giustizia in senso biblico è dare ad ognuno il suo, anche a
questo avversario interiore, diamo il giusto peso, in modo che non ci consegni
al giudice e ci getti in prigione. Anche qui il giudice è interiore, è quella
parte di noi molto severa e poco indulgente che non perdona, che si rifà alla
legge del taglione come ci ricorda il vangelo. Gesù è straordinario perché
anche qui ci insegna a superare noi stessi, ad andare al di là, e ci dice che
se siamo in cammino è possibile amare come lui ha fatto, perché lui è li che ci
protegge e ci incoraggia a camminare e ad affrontare le avversità della nostra
vita, per renderci liberi.
INTERVENTO DI ELISA
“Cosa desideri più di ogni cosa?” mi chiedevano mamma e papà, “un
fratellino!” rispondevo con il respiro accelerato come i battiti del mio cuore,
colmo di speranza. Iniziai a tre anni a chiedere a voce alta un fratello a ogni
compleanno, a ogni Natale. Gli adulti sembravano divertirsi a pormi questa
domanda per sentire quella dolce risposta che sapeva di apertura e generosità
verso la vita. In realtà il mio desiderio di avere un fratello, magari una
sorella, nasceva da ben altro: dalla paura di essere sola, dal bisogno di riconoscermi
in un viso che sorridesse al mio, dalla necessità di essere amata e di amare.
Ovvio che nascesse anche dalla mia enorme difficoltà di vivere l’amicizia
perché dentro di me percepivo un rifiuto e pensavo che solo un fratello potesse
accettarmi per quella che ero: il nostro legame di sangue l’avrebbe tenuto
vicino a me, mi avrebbe garantito amore incondizionato. E abbracci e baci,
risate, giochi.
Invidiavo gli altri bambini e non capivo perché dicessero cose
terribili sui loro fratelli, io pregavo ogni sera perché il mio desiderio si
avverasse e stavo attenta a ogni abbraccio dei miei genitori nella speranza di
vedere quel famoso semino volare dal mio papà per trovare casa nella mia mamma.
Dopo cinque anni, una sera i miei genitori mi presero in braccio, eravamo in
cucina e papà mi chiese “cosa desideri più di tutto?”, io per fortuna diedi la
risposta giusta ma ricordo che stavo per dire una Barbie dato che la speranza
mi aveva ormai abbandonato e dissi “un fratello”, allora tra le risa e il
pianto mi comunicarono che avrei ricevuto il mio dono più bello. Ero veramente
felice e ricordo ogni dettaglio del giorno in cui nacque Francesco: forse
perché per anni lo descrissi in ogni tema che chiedeva di parlare del giorno
più bello della propria vita. Credo che rifarei lo stesso tema anche oggi.
Quel bambino con i riccioli rossi e gli occhi neri come i miei era
veramente speciale, l’adoravo. Ma Francesco non bastò a colmare il mio bisogno
di accettazione e di amore ed io dovetti provare ogni giorno la sete di altro
da me che sentivo sempre più intensa, persa nel deserto delle mie emozioni.
Volevo un’amica, volevo essere chiamata, invitata dagli altri, cercata.
Io non riuscivo a incontrare per prima, ad abbracciare per prima. La paura di
non piacere urlava più forte del desiderio di accogliere.
Questa voce tuona ancora in me nonostante l’amore di Marta, Oscar,
Nicoletta, nonostante Eugenio, Maria, Caterina, nonostante gli amici di una
vita e quelli di passaggio.
Questa voce che mi dice che ho paura e mi fa tremare vorrei soffocarla,
toglierle fiato, impedirle di parlare perché è facile fingersi a se stessi e
convincersi che tutto è cambiato, che sono cresciuta, che tutto ciò che ho
realizzato è la prova concreta del fatto che amo e sono amata.
Ma è proprio questo grido di terrore il primo dei miei fratelli e fino
a che non incontro la mia paura e la abbraccio, da sorella e sorella, bambine
che si tengono per mano, mai avrò cuore libero per far spazio agli altri e
riconoscermi in loro.
Se guardo in me e accetto ciò che rifiuto, posso accogliere ogni uomo
della terra.
Se sono sincera con me stessa, posso ascoltare la verità di ogni
creatura.
Se amo quello che vorrei annullare, ritroverò la mia unità.
Nell’andare verso il mio sé, camminerò incontro ai miei fratelli.
PAOLA canta: Benedici
In questa sera in
penombra passa accanto a me.
Cerco cose nascoste
ai dotti, ai sapienti e anche a me.
Un venticello
leggero possa soffiare su noi
E sussurrarci
ancora che ci sei.
Rit:
Benedici, benedici,
benedici anche me.
Benedici, benedici,
benedici anche me.
Benedici la terra
tanto assetata d’amore.
Benedici il cielo
tanto affannato di sole.
E tutto quello che
è in mezzo vive assetato di te
Tu non schiacci il
mio grido,benedici anche me. Rit
Benedici la notte
facci amare anche lei.
Spingi il nostro
cammino dal tramonto all’alba con te.
Una nuova visione
tu prepari per noi
Vada in pezzi
quest’ora e io sogni anche te. Rit
Benedici la vita
ogni germoglio che c’è
Riempi la casa di
luce e di tenerezza per me.
Ci fioriscano gli
occhi se ci guardiamo fra noi
Spezza le nostre
catene e appoggiaci a te. Rit
La serata si conclude davanti
all’Eremo con un grande abbraccio
Nessun commento:
Posta un commento