Testi - il Fuoco

La camminata meditativa, la sera del 22 GIUGNO 2015, si è svolta all’interno del Chiostro, lungo il sentiero esterno al convento ed in Chiesa e ha avuto  come tema conduttore:
“IL FUOCO”.  
Lungo il percorso, ritmato dal silenzio della natura, dai passi silenti dei partecipanti, dal canto melodioso, sono state offerte alcune riflessioni/testimonianze, che ora vengono raccolte  come dono a tutti noi.


Saluto di benvenuto di fra Renzo in particolare a coloro che vengono per la prima volta, ringraziando i bambini presenti.

PRESENTAZIONE
Nicoletta accoglie nel Chiostro i partecipanti spiegando che con il tema della serata si concludono i quattro elementi: terra – acqua – aria – fuoco.
Chiede quindi a tutti i partecipanti di riflettere su cosa rappresenta il fuoco per noi e di accendere un lumino che ci accompagnerà per la prima parte della camminata.
Viene poi lasciato sul pozzo acceso fino alla conclusione della serata.

OSCAR canta : COME FUOCO VIVO
(Gen Rosso, Gen Verde)



Come fuoco vivo si accende in noi
un'immensa felicità,
che mai più nessuno ci toglierà,
perché tu sei ritornato.
Chi potrà tacere, da ora in poi,
che sei tu in cammino con noi,
che la morte è vinta per sempre,
che ci hai ridonato la vita?

Spezzi il pane davanti a noi,
mentre il sole è al tramonto:
ora gli occhi ti vedono, sei Tu!
Resta con noi.

Come fuoco vivo si accende in noi
un'immensa felicità,
che mai più nessuno ci toglierà,
perché tu sei ritornato.
Chi potrà tacere, da ora in poi,
che sei tu in cammino con noi,
che la morte è vinta per sempre,
che ci hai ridonato la vita?

E per sempre ti mostrerai,
in quel gesto d'amore:
mani che ancora spezzano,
pane d'eternità.



INTERVENTO DI MICAELA
Il  fuoco è l’elemento che meglio mi rappresenta. Stasera sarebbe stato difficile rimanere a casa visto l’argomento.
Il fuoco per me è la mia passione per la vita, per le cose che faccio, è quel caldo che mi scalda il cuore e la pancia e mi fa stare bene. Il fuoco è tutta la mia energia! Io lo chiamo “lo sfrittego” ed è quella voglia di fare, fare, fare che nessuno può contrastare.
E’ come un vulcano che mi spinge in avanti e fermarsi è difficile. Quando sono costretta a rallentare per forze di causa maggiori trovo sempre il modo di utilizzare il mio fuoco, altrimenti mi scotto da sola.
In questi mesi che mi sono concentrata più sulla mia bimba ho avuta la pressione alta per tre mesi e un occhio gonfio per due, per non parlare del fegato e la milza infiammati. Per me fare, fare, fare è un bene, più faccio e meglio sto, altrimenti fisicamente cominciano i guai. Da piccola sono caduta nel fuoco con la mia biciclettina a rotelle, me lo ricordo ancora come un evento “simpatico” e non come un trauma. Mi ha fatto molto più paura cadere in piscina quando ancora non sapevo nuotare che bruciarmi le ginocchia.
Penserete che sono strana, ma per me il rosso è rilassante….. la mia camera da letto è rossa e anche il mio salotto!
Non so cos’altro dirvi, so solo che non riesco a pensare ad una vita senza il mio fuoco, come il sole per il nostro sistema solare.

INTERVENTO DI MATTEO
Il fuoco è la seconda principale immagine dello Spirito Santo.

Sempre nella sera della Pentecoste, gli Apostoli che, come abbiamo detto, si trovavano tutti insieme, oltre a sentire un vento gagliardo, videro anche <<lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro>> (At 2,3).
IL FUOCO ILLUMINA
Lo Spirito Santo è luce. Gesù promette: quando verrà lo Spirito Santo <<vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto>> (Gv 14,26); <<vi guiderà alla verità tutta intera>> (Gv 16, 13).
LA LUCE È VITA
Senza luce non ci sarebbe vita: le piante, i fiori, gli animali, morirebbero tutti.
Escono alla luce i più piccoli animaletti della terra, rintanati nei loro rifugi.
Potenza della luce! Il grande scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe esclamava: <<Quanto tumulto è la luce!>>. La luce è tumultuosa perché mette in moto l’immenso mondo della vita vegetale, animale, umana.
LA LUCE È SALUTE
La luce guarisce.
Lo Spirito Santo è il medico delle nostre anime: <<sana ciò che sanguina, bagna ciò che è arido, lava ciò che è sordido>>, preghiamo nella festa della Pentecoste. Lo Spirito Santo è il <<Consolatore>>, ci garantisce Gesù (Gv 15,26).
LA LUCE È GIOIA
Il profeta Isaia diceva: <<Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terre tenebrose, una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia>> (Is 9,1-2). Il simbolo dello Spirito Santo come fuoco che illumina ci ricorda perciò la grande verità: tutti dipendiamo da Dio in tutto: anima e corpo.
IL FUOCO LIBERA
Lo Spirito Santo distrugge ciò che è negativo.
Il fuoco dello Spirito Santo trasforma i <<ma>> in <<voglio>>; i <<se>> in <<sì>>: <<Sì accetto quel che ho e mi impegno a sfruttarlo>>.
Liberato dalle scorie dei <<ma>>, dei <<se>> e degli <<uffa>>, l’uomo, giorno dopo giorno, attacca la vita e muore in salita!
IL FUOCO FONDE INSIEME ELEMENTI DIVERSI
La Chiesa prega lo Spirito Santo con queste parole: <<Il fuoco ci unisca in un’anima sola>>. Lo Spirito Santo ricorda che non basta stare <<accanto>>, gli uni agli altri, occorre stare <<insieme>>. Solo gli uomini possono vivere <<insieme>>: un cuor solo ed un’anima sola.
IL FUOCO PIEGA CIÒ CHE è RIGIDO. È FORZA E POTENZA
Il <<Catechismo della Chiesa Cattolica>> è esplicito: <<Il fuoco simboleggia l’energia trasformante degli atti dello Spirito Santo>> (n. 696)
Il fuoco è potente, ma lo Spirito Santo è più potente ancora. La sua potenza, infatti, è una potenza interiore che nasce dalla fede e dalle convinzioni. Tale potenza porta a sfidare il mondo e ad accettare persino la morte.
IL FUOCO RISCALDA 
Lo Spirito Santo  scalda: <<scalda ciò che è gelido>>, dice la preghiera, tanto poetica quanto profonda, che la Chiesa eleva, appunto, allo Spirito Santo nel giorno della festa di Pentecoste.
Un’altra invocazione dice: <<Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore>>.
Lo Spirito Santo è lo Spirito dell’Amore.
In quel momento <<furono tutti pieni di Spirito Santo>> (At 2,4).


INTERVENTO DI FRANCESCA
Ogni tradizione ha un racconto mitico sull’origine del fuoco. In tutti i racconti il fuoco arriva agli uomini come dono: esso è un elemento divino e prezioso che viene regalato all’umanità. Chi lo dona è sempre un eroe coraggioso che mette a rischio la propria vita pur di condividere con gli altri le gioie e le possibilità che il fuoco dischiude: non solo la possibilità di scaldarsi, cucinare, illuminare, ma anche le qualità che il fuoco porta dentro gli animi, qualità come l’audacia, la forza, la determinazione, la voglia di farcela superando gli ostacoli. Tra tutti, ho scelto di condividere questa sera il mito greco di Prometeo.
“ Guardando la Terra dall’alto dell’Olimpo, Giove la vedeva deserta e desolata. Era abitata da uomini e da animali, ma essi vivevano miseramente, nascosti nelle loro tane e nelle profonde caverne dalle quali non osavano uscire che raramente: solo di notte, gli uni temendo gli altri, s’avventuravano fuori in cerca di cibo. Giove pensò che questa continua paura doveva finire, chiamò Epimeteo, figlio del titano Giapeto, e gli disse di scendere sulla Terra affinchè donasse ad ogni essere quanto gli occorresse per difendersi e procurarsi il cibo senza più paura. Epimeteo, sceso sulla Terra, diede a tutte le creature quanto ad esse occorreva: qualcuna ebbe zanne ed artigli; altre ebbero ali per volare, fiuto sottile, udito pronto; altre ancora ebbero la velocità nella corsa, altre l’astuzia, altre la forza. Soltanto l’uomo, pieno di paura, rimase nascosto e non si fece avanti per cui Epimeteo si dimenticò di lui e non gli diede nulla. Di ciò s’accorse Prometeo, fratello di Epimeteo. Prometeo era il più intelligente di tutti i Titani. Aveva assistito alla nascita di Minerva, dea della sapienza, dalla testa di Giove, e la dea stessa gli aveva insegnato l’architettura, l’astronomia, la matematica, la medicina, l’arte di lavorare i metalli, l’arte della navigazione. Prometeo, che amava molto il genere umano, aveva a sua volta generosamente insegnato tutte queste arti ai mortali. Aveva un grosso cruccio, però, che gli uomini non conoscessero ancora il fuoco e conducessero una vita graffia e meschina, molto simile a quella delle bestie. Poiché non poteva accettare che soccombessero alla forza della Natura o alla ferocia delle belve, pensò di dar loro questo prezioso dono che li avrebbe resi i padroni indiscussi della Terra. Col fuoco gli uomini avrebbero potuto scaldarsi d’inverno, cuocere la carne che, come animali e con gran fatica, mangiavano cruda; tenere lontane le fiere, illuminare le caverne e la notte; avrebbero potuto fondere i metalli e darsi così attrezzi per lavorare la terra ed armi per difendersi e cacciare. Ma esso apparteneva agli Dei che ne erano assai gelosi ed era ben protetto nelle viscere della Terra nell’officina di Vulcano, il dio del fuoco, che fabbricava, con l’aiuto dei Ciclopi, i fulmini di Giove. Prometeo pensò di rubarlo e una notte, dopo aver addormentato Vulcano con una tazza di vino drogato, rubò qualche scintilla che nascose in un bastone di ferro cavo; poi corse dagli uomini ed annunciò che recava loro il dono più grande.”


Risalendo il sentiero esterno al convento ci fermiamo per un minuto di silenzio in memoria di tutti coloro che in passato sono morti a causa del fuoco.

OSCAR CANTA:
TERRA DEL FUOCO – Modena City Ramblers



Fuoco che brucia e che consuma
La storia, la ragione e la verità
Brucia la rabbia e l'odio
Bruciano le ferite
Le colpe e le vendette
Le verità della storia
Brucia la storia

Brucia la terra e la memoria
E si confonde il senso della realtà
Fuoco in Palestina
Rovine in Jugoslavia
Fuoco sul medio oriente
Fiamme dell'età del fuoco
Terra del fuoco

Foto rubate in cammino nel mondo
Scatti bruciati dalle fiamme dell'odio
Un'istantanea dalle strade del mondo
Quello che vedo è la terra del fuoco

Terra che copre la paura
Il lato oscuro della civiltà
Cieli satellitari
Oceani nucleari
Terre contaminate
Terre dell'età del fuoco
Terra del fuoco

Foto rubate in cammino nel mondo
Scatti bruciati dalle fiamme dell'odio
Un'istantanea dalle strade del mondo
Quello che vedo è la terra del fuoco

Brucia la terra e la memoria
E si confonde il senso della realtà
Esilio per i kurdi
Bombe sopra gli afgani
Fuoco in nord Irlanda
Fiamme dell'età del fuoco
Terra del fuoco




NADIA e FRANCESCA cantano la canzone dei quattro elementi
TERRA – ACQUA – ARIA - FUOCO


IN CHIESA
INTERVENTO DI ELISA: Il simbolo del fuoco nella Divina Commedia
Mi sento emozionata e inadeguata nel parlare di Dante, lo faccio con estrema umiltà, per condividere lo stupore della scoperta che il testo della Commedia mi regala e cercare di far entrare queste immagini nella nostra riflessione, perché Dante, in ogni momento, può parlare a ogni uomo.
La Divina Commedia narra del Viaggio, quello di ogni religione e tradizione sacra: il cammino dell’uomo verso Dio. Nel raccontare questo viaggio Dante usa i simboli: parole, rime, personaggi, luoghi e numeri della Divina Commedia sono elementi preziosi, carichi di significato, scelte oculate che rimandano a profonde conoscenze. Dante li dipana poco alla volta di fronte a noi, perché possiamo compiere con lui il percorso verso la felicità. La felicità del qui e ora perché il cielo, a cui aspiriamo, si può realizzare sulla terra, nel nostro presente.
Il fuoco è un simbolo importante, complesso proprio per la sua natura ambivalente: dona calore, luce, purifica, riunisce attorno a sé le persone e invita al racconto ma allo stesso tempo brucia, ustiona, distrugge. Dante evidenzia gli aspetti positivi del fuoco e lo collega alla ricerca di Dio: quando appare il fuoco nella Commedia c’è tensione e movimento verso la conoscenza, verso un aldilà.
Nell’inferno, infatti, il fuoco è presente solo in minima parte perché nella voragine, che porta al centro della terra, prevalgono le tenebre, il gelo, le bufere e le paludi. All’inferno c’è immobilità, paralisi, individualismo, mancanza di consapevolezza. C’è la paura che congela. Il fuoco, elemento vivo, diventa pena solo per alcuni peccatori: eretici, bestemmiatori, consiglieri di frode.
L’eresia al tempo di Dante dilagava ovunque, era il tentativo concreto e pericolosissimo di cercare una propria verità, di rompere vecchie forme in cui non si trovava più significato. Gli eretici bruciano dentro tombe infuocate, roghi simili a quelli in cui hanno trovato la morte. Dante, nel suo andare in questo girone, volge a destra e nel farlo lancia un chiaro segnale che interrompe quel suo procedere, attraverso l’inferno, sempre rivolto a sinistra. L’eresia è una ricerca che riguarda il trascendente, lo spirito, il divino. È fuoco di libertà. È intuibile come Dante provi compassione verso queste anime. Allora perché la pena? Perché l’immobilità dell’inferno? Il limite degli eretici ci viene rivelato dal dialogo tra Dante e il padre del suo carissimo amico Guido Cavalcanti: essi non vivono nel presente, non ne sanno nulla, mentre ricordano bene il passato e possono prevedere il futuro. Gli eretici bruciano nel fuoco, nel dolore che si prova quando si è divisi tra due realtà e si manca a se stessi. Guardiamo alla nostra esperienza: quante volte siamo ancorati al passato, incapaci di proseguire, o proiettati in un futuro che non realizziamo? Diventarne consapevoli è il primo passo verso il cammino fuori da quella tomba di fuoco.
Nel VII cerchio, in un deserto di sabbia su cui piovono falde incandescenti, si trovano i peccatori contro Dio. I bestemmiatori sono coloro che s’identificano con il proprio Io e negano il Sé, la realtà divina entro e fuori se stessi. Qui incontriamo Capaneo, uno dei sette re di Tebe che è un gran superbo. La sua maggiore pena è la rabbia che lo rode e lo consuma in eterno, “Qual fui vivo, tal son morto”. Incapace di trascendere, di andare oltre. Fermo entro i limiti del proprio Io.
Il percorso dentro la voragine infernale prosegue e oltre il baratro, in Malebolge, scopriamo Ulisse, uno dei personaggi chiave della Commedia, avvolto in una lingua di fuoco. Quando la mia insegnante delle medie mi disse che il mio personaggio omerico preferito fu confinato da Dante all’Inferno ci rimasi malissimo: perché all’Inferno? L’Ulisse che conoscevo era il simbolo della sete di conoscenza, era l’eroe che usava la testa prima delle armi, era colui che viaggiava, faceva esperienza, ma poi ritornava a casa. Ma l’Ulisse di Dante non è quello di Omero, l’uomo che pronuncia parole dal fascino imperituro e convince i compagni a seguirlo al di là del mondo conosciuto, non torna a casa ma si inabissa. E nel suo andare sta il motivo della sua dannazione: il viaggio di Ulisse è un viaggio senza meta, un “folle volo” che volge la prua verso la notte, verso il “mondo senza gente” per “ardor di diventar del mondo esperto e de li vizi umani”. L’errore non è nel desiderio di conoscere, di cui è intrisa tutta la Commedia, ma nel fatto che tale viaggio è al di fuori dell’uomo, è un andare puramente esteriore. È un volare alto, come Icaro, inconsapevole che l’unica via possibile è quella che porta dentro di noi. Il viaggio entro alla terra, simbolo del nostro inconscio, ci fa conoscere la nostra Ombra e guardare le paure che ci paralizzano, per aggrapparci a esse al fine di prendere uno slancio tale da poter risalire e rinascere e, attraverso la natural burella, canale che ci conduce a nuova vita, uscire a riveder le stelle. Ulisse non ha cercato Dio dentro di sé ma solo l’uomo e la fiamma che lo avvolge è il simbolo di ciò che mai ha trovato.
Dante questo viaggio lo compie e sale le cornici del Purgatorio, il regno del presente, dove esiste il tempo, il dolore, l’attesa, la speranza, l’accettazione, la consapevolezza e in cui esiste l’altro che, con me, condivide la mia pena. Nell’inferno ogni dannato soffre, eternamente solo, il proprio destino. In Purgatorio le anime che si purificano avanzano sperimentando le sofferenze altrui, in un percorso verso la consapevolezza che ogni aspetto dell’altro è anche nostro, ogni sua pena la possiamo comprendere, ogni sua fatica diventa anche nostro carico. Il Purgatorio è il regno dell’Umanità intera.


Nella cornice dei lussuriosi, l’ultima del Purgatorio, una cortina di fuoco avvolge tutto il monte. Non esiste varco o passaggio, il muro di fiamme separa il Purgatorio dal Paradiso Terrestre. E Dante dovrà attraversare questo fuoco. Compare nuovamente la paura, anzi il terrore, il panico, la disperazione per cui Dante rischia di non riuscire a procedere. Gelato di spavento, bagnato di sudore freddo, le mani protese in avanti, incurvato indietro come a respingere il fuoco da sé, Dante, con gli occhi sbarrati verso le fiamme, rivive immagini di corpi umani visti ardere vivi sulle pubbliche piazze. Nessun’altra prova viene descritta in termini così drammatici in tutta la Commedia. Ma Dante dovrà entrare e lasciarsi avvolgere dal fuoco alchemico che purifica e non brucia, perché ha bisogno di unire gli opposti, di fondere l’Io con il Sé, di incontrare il suo paradiso in terra, al di là delle fiamme. 

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